lunedì 2 gennaio 2017

La Cosa. Parte settima

Cerchiamo di finire la storia.
A settembre sono stata operata di nuovo: laparoscopia di sorveglianza. Non starò a ripetere cosa succede quando ti devono operare, l'iter è sempre lo stesso, il reparto pure, il chirurgo anche.
Tre tagli, tanta aria nella pancia e una serie di biopsie. La novità di settembre? Rullo di tamburi: niente vomito, niente di niente!
Un mese dopo scopriamo che alcune delle biopsie sono risultate positive. Ho ancora delle cellule malate dentro al mio corpo. Cosa si deve fare adesso?
Adesso bisogna chiedere aiuto a chi ne sa di più. Il primario di Lecco non propone alcuna terapia, ma non sa che tipo di follow-up sia meglio fare.
Eccoci quindi a pagare 300 euro per un consulto all'Istituto Europeo Oncologico di Milano. Ora, a distanza di mesi, raccontarlo con poche parole è semplice, ma quei giorni non sono stati semplici per niente. Trecento euro non sono 20 cent che trovi in terra passeggiando per strada. Continuo a non considerare giusto che, per sapere come proseguire le mie cure, io debba pagare qualcuno 300 euro.
300 euro per leggere pezzi di una cartella clinica.
300 euro per scrivere quattro righe su un foglio.
300 euro per qualcosa che avrei dovuto avere gratis nell'ospedale a 10 minuti da casa.
300 euro che sono costati tensioni in famiglia.
Le malattie a volte ci tolgono il tempo e il diritto di scegliere. E questa è una cosa che non riesco ad accettare di buon grado. Più di sapere di avere ancora cellule tumorali.
Fortunatamente la dottoressa che mi visita al IEO si dimostra competente. Esco dalla sua stanza con un programma chiaro e scandito per monitorare l'eventuale crescita della malattia: ogni 6 mesi dovrò fare una risonanza magnetica, ogni 3/4 mesi ecografia ed esami del sangue per controllare i livelli di Inibina B, ormone anti-mulleriano e CA125, ad ogni ciclo mestruale 15 pillole di progesterone.
Magari più dilatate, ma le visite e i controlli dovrò farli per tutta la vita perché - ve lo ricordate vero? - il mio tumore è tutto particolare e ci sono stati casi in cui si è ripresentato anche dopo vent'anni.
Ma, se devo essere sincera, questo non mi spaventa.
Neanche i primi controlli credo che mi spaventino perché io mi sento forte, anche se so di avere ancora briciole di malattia dentro di me. Mi sento forte perché l'essere malati non è un'etichetta che ci si mette addosso e lo si è o non lo si è.
Io malata forse lo sono, ma non mi ci sento. Credo di non essermelo mai sentito fino in fondo. Credo che dipenda da che idea abbiamo della malattia.
Quindi no, per il mio modo di vedere, io non sono malata. Non più di chi ha un raffreddore stagionale, quanto meno.